Lida Branchesi – Un diritto alla cittadinanza disatteso: l’educazione al patrimonio culturale

L’Italia dei beni culturali: i nodi del cambiamento. Ricordando l’impegno e le proposte di Giuseppe Chiarante, Roma, Senato della Repubblica, Sala Capitolare, 3 dicembre 2013
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«Lo Stato favorisce l’accesso alla conoscenza dei beni culturali e ambientali e la fruizione dei relativi servizi da parte di tutti i cittadini, in modo da concorrere anche in questo campo, rimuovendo privilegi, discriminazioni e diseguaglianze, alla più ampia attuazione della personalità di ciascuno, secondo i fini indicati dal secondo comma dell’art. 3 della Costituzione»[1].
Premessa e filo conduttore dell’intervento è questa “Finalità”  che Giuseppe Chiarante pone come fondamentale  nel Disegno di Legge 5 Ottobre 1989 sulla “Revisione delle norme di tutela e istituzione dell’Amministrazione autonoma dei beni culturali e ambientali”. Già presente nel  DDL 348, 1983 d’iniziativa dei senatori Argan, Chiarante ed altri,  risulta di notevole importanza ed attualità non solo per una riflessione sul presente ma anche per tracciare alcune prospettive per il futuro.
Due, in particolare, sono gli aspetti da sottolineare nel testo.
– L’affermazione di un diritto al patrimonio  come diritto di cittadinanza attiva e partecipativa per tutti:  è quanto afferma la Convenzione di Faro, firmata dall’Italia nel 2013, su cui ci soffermeremo.
– La consapevolezza delle potenzialità educative e formative legate alla conoscenza e alla fruizione del patrimonio culturale, che consentono lo sviluppo pieno della personalità ed aiutano a dare a tutti i cittadini pari dignità ed opportunità, secondo quanto afferma il citato comma 2 dell’art. 3 della Costituzione: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana».
Sicuramente l’educazione al patrimonio ha la possibilità di contribuire allo  sviluppo olistico della persona e alla crescita individuale e sociale. È quanto emerso anche dalla valutazione, scientificamente fondata, sulle attività di pedagogia del patrimonio promosse dal Consiglio d’Europa. Si tratta di una ricerca che ha coinvolto allievi, docenti, dirigenti ed esperti di 22 paesi europei[2] ed i risultati maggiori raggiunti riguardano non solo la dimensione estetica, l’esperienza  storica, lo sviluppo del  pensiero creativo e del  sapere critico,  ma anche aspetti formativi atti a favorire l’integrazione sociale, la cittadinanza democratica, il dialogo  multiculturale e interculturale, fino, in alcuni casi,  alla prevenzione dei conflitti.
La sensibilità nei confronti del patrimonio culturale, della sua tutela, della sua trasmissione alle generazioni successive e anche la capacità di cercare e di trovare soluzioni responsabili per il futuro: sono valori e comportamenti che non sempre è facile dimostrare. Nel corso della ricerca tuttavia si è avuto la possibilità di verificarli attraverso una valutazione “verticale”, importante per capire,  a distanza di 10 anni,  gli atteggiamenti,  le scelte valoriali e  i comportamenti nei confronti del patrimonio culturale di alcuni giovani di Padova, che avevano partecipato da piccoli al progetto “La città sotto la città”[3]. Essi evidenziavano come il loro atteggiamento nei confronti della città  fosse ben diverso da quello dei coetanei che non avevano avuto un’analoga esperienza: più colto, più consapevole, più attento alla salvaguardia, più propositivo. D’altra parte l’educazione al patrimonio culturale è sicuramente alla base della sua tutela – non per nulla l’ICCROM ne ha fatto per diversi anni uno dei suoi campi di attività.
 
Ma torniamo a Chiarante: nel delineare le finalità della rinnovata struttura per i beni culturali sarebbe stato già importante, ma forse più ovvio, collegare la conoscenza del patrimonio solo alla tutela diffusa dello stesso: è quanto aveva già affermato la commissione Franceschini[4]. È di grande rilevanza e novità  averla rapportata anche ai diritti civili e allo sviluppo della persona umana. E non sono certo quelle di Chiarante affermazioni ideologiche e di principio, ma sono fondate su una preparazione approfondita e su un impegno politico, competente e appassionato, che aveva profuso per la scuola a partire dalla fine degli anni Sessanta sia come responsabile del PCI sia, poi, come parlamentare.  Tutto il suo lavoro in questo ambito si ispira all’art 3 della Costituzione dal convegno sulla scuola del 1972 al disegno di legge sulla riforma della scuola secondaria superiore e sull’innalzamento dell’obbligo scolastico del 1986[5]. Membro nella VI e VII legislatura della Commissione VIII della Camera – e, nella VIII, IX, X, XI,  della Commissione VII del Senato, fa parte del comitato ristretto che predispone il testo base sul quale si svolge il dibattito parlamentare sulla riforma della scuola secondaria superiore che nel 1978 viene approvata da uno dei rami del Parlamento[6].
È uno dei padri del biennio iniziale -non  “unico”, ma “unitario”- della scuola secondaria superiore, che ebbe una possibilità di attuazione nei Progetto Brocca e nel Progetto 92 degli Istituti professionali e che ispirò gran parte delle sperimentazioni sia autonome che ministeriali nonché le parziali riforme degli ordinamenti degli anni ’90, poi tradite dai ministri berlusconiani. Quella che si delinea nei suoi interventi e nei suoi scritti è una scuola democratica[7], “una scuola unitaria, fondata su un nuovo rapporto tra cultura e professionalità che dia ai giovani una moderna formazione critica”[8], aperta all’educazione permanente e ricorrente, finalizzata a rimuovere disuguaglianze culturali e sociali e a promuovere il diritto allo studio e al sapere come diritto di cittadinanza.
Ho lavorato per i programmi e i piani di studio del progetto Brocca in cui il biennio era finalizzato a fornire a tutti  linguaggi strumenti e metodi per la lettura e la comprensione critica dei diversi ambiti disciplinari e in cui l’inserimento dell’arte e della storia dell’arte, fu sofferta, ma possibile.
Oggi, dopo i tagli della cosiddetta riforma Gelmini (2008-2010), basata non su un progetto culturale ma sugli input del Ministro dell’economia, accade che proprio negli Istituti professionali, nei quali in diversi indirizzi la Storia dell’arte costituiva un asse culturale importante e trascinante, indispensabile per una formazione storico critica, la materia è stata del tutto eliminata, proprio quando in altri paesi, come ad es. l’Olanda, si è lavorato per offrire agli studenti di  questi istituti  un’educazione culturale importante, dal momento che più difficilmente possono averla a livello familiare.
A questo proposito sembra particolarmente significativo riportare qui un intervento di Argan sul nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore al Senato della Repubblica, nella seduta pomeridiana del 6 marzo 1985 in cui, parlando degli assi culturali della nuova secondaria superiore, evidenzia che
«Un ulteriore filone unificante dovrebbe essere poi in tutti gli indirizzi la storia dell’arte. Per i giovani che vivono in gran parte in città  storiche la conoscenza dell’ambiente monumentale e artistico é almeno altrettanto importante di quella dell’ambiente naturale, che poi è anch’esso in gran parte storico, perché determinato dal lavoro umano» [9].
Nello stesso intervento, nel parlare dei diversi indirizzi della scuola secondaria, si era complimentato con il ministro per l’inserimento dell’indirizzo per i beni culturali e ambientali.
«Apprezzo, signor Ministro, l’inserimento di un indirizzo per i beni culturali e ambientali in cui dovrebbe avere parte molto rilevante la storia dell’arte. Il patrimonio culturale e ambientale costituisce indubbiamente la maggiore ricchezza del nostro paese, ed è dunque doveroso che fin dalla scuola secondaria si educhino i giovani a conoscerlo, studiarlo, conservarlo, amministrarlo e tramandarlo»[10].
L’indirizzo dei beni culturali, inserito nelle maxi sperimentazioni dell’istruzione  artistica e nei piani di studio Brocca, è stato realizzato con successo in molti istituti, ma è stato poi abolito con la citata “riforma”.
Per quanto riguarda le idee di Chiarante sull’educazione e sull’importanza di  una formazione culturale per tutti i “cittadini”, che solo “una scuola di cultura e per la cultura” può garantire,  esse vengono  da lui ribadite, con sempre maggior convinzione, lungo tutto l’arco della vita: basti leggere la nota elaborata in preparazione del Convegno di Firenze su Una scuola per la cittadinanza (2001)[11]. Purtroppo le cosiddette “riforme” sono andate all’opposto di quello che lui avrebbe sperato, anche se oggi sembrano aprirsi alcuni spiragli[12].
Ma ritorniamo a beni culturali e al DDL di Chiarante dell’89; l’art.13 sui compiti della Giunta così recita:
«d) promuove, sottoponendoli al parere del Consiglio nazionale, i programmi per le iniziative di cooperazione con la scuola, con le università, con gli istituti scientifici, con gli organi di consulenza del Ministero dell’ambiente, con altri enti o istituzioni, anche privati».
Se nei progetti e nei Disegni di legge di Chiarante e di Argan l’attività didattica e di promozione viene indicata fra i compiti fondamentali dell’amministrazione dei beni culturali e ambientali, in modo da valorizzare adeguatamente il grande potenziale conoscitivo ed  educativo rappresentato dal patrimonio storico e culturale del Paese, bisogna aspettare la fine degli anni Novanta per rilevare alcuni significativi cambiamenti in questo ambito. Va anche notato che, nel testo citato, l’uso del termine “cooperazione” evidenzia un rapporto di collaborazione integrata tra le istituzioni, nel rispetto delle reciproche competenze, e anticipa così il concetto di “partenariato”, introdotto nella Raccomandazione 98 (5) del Consiglio d’Europa[13], che è alla base di alcune scelte della Commissione per la didattica del museo e del territorio.
E proprio coi lavori di tale Commissione (1995-1998)[14], presieduta da Marisa Dalai Emiliani, si possono registrare rilevanti novità nella delineazione di un nuovo Sistema italiano dei servizi educativi  e nel raggiungimento di importanti e concreti risultati[15]. Basti pensare all’Accordo quadro tra i due Ministeri della Pubblica Istruzione e per i Beni Culturali e Ambientali (20 marzo 1998), alla costituzione di un Centro per i servizi educativi del museo e del territorio (DM 15 ottobre 1998), alla Circolare sull’attivazione e il potenziamento dei Servizi educativi per i Beni culturali (30 settembre 1998), fino all’inserimento di un insegnamento di Didattica del museo e del territorio all’interno dell’Università.
In quegli anni molti sono i mutamenti che hanno influenzato nel bene e nel male lo sviluppo di tutto il settore: dalla  Legge Ronchey (L4/93 e DL 368/98) al Conferimento dei compiti dello Stato alle regioni (D.Lgs 112/98 capo V) in relazione al quale (art.150,  comma 6)  viene approvato un Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (DM 10 maggio 2001), dove si  prevede un servizio educativo in ogni museo, eventualmente condiviso in rete, e si definiscono, tra le figure professionali, quella dell’operatore e del responsabile al servizio.
Nel 2004 il nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio con l’importante e innovativo articolo 119 dedicato alla Diffusione della conoscenza del patrimonio culturale nelle scuole, riconosce finalmente e trasforma in legge uno dei risultati più importanti della Commissione[16].
Più complessa è la situazione del Centro per i Servizi educativi del museo e del territori:  integrato nel Servizio II della nuova Direzione Generale per la Valorizzazione del Patrimonio culturale del MiBAC (DPR n.91/2009)[17], ha perduto tuttavia con tale trasferimento,  la configurazione e parte dei compiti che caratterizzavano l’ottimo progetto scientifico e organizzativo originario -in verità mai del tutto attuato- che prevedeva tra l’altro un Comitato scientifico interdisciplinare e la messa in rete anche delle iniziative e delle attività educative per il patrimonio promosse dagli Enti pubblici territoriali.
Ma di quali servizi educativi si parla? Con quali funzioni? Con quale personale? Se analizziamo i dati del nuovo Sistema informativo integrato, presentati nel 2013[18], il  77,8% di musei e istituti similari offre la possibilità di visite guidate; il 58,6 % ha svolto una o più attività didattiche. Sembrerebbero dati piuttosto positivi, che però nascondono tanti problemi irrisolti e tante contraddizioni.
-Si va dalla necessità, più che dall’esistenza,  di dipartimenti educativi che risultano fondamentali anche per le scelte museologiche e curatoriali[19],  all’attribuzione dell’ “incombenza” didattica ad un unico funzionario, sul quale già gravano compiti numerosi, data anche la riduzione e l’invecchiamento del personale.
– Si registrano servizi aggiuntivi, che allargano le loro competenze anche alla “didattica”,  ma entrano spesso in conflitto con i servizi educativi, che stentano così ad affermarsi.  Su questo punto esemplare è la posizione di  Chiarante:
«… l’attività didattica, l’organizzazione di mostre, le pubblicazioni sul museo o sulle opere in esso raccolte sono operazioni scientifiche che non possono essere messe sullo stesso piano della gestione del bar, del ristorante, dei servizi, del guardaroba ecc.. Esse hanno una connessione molto stretta con la direzione scientifica del museo, del monumento, dello scavo»[20].
– Ci si barcamena con poca chiarezza tra gratuità e redditività: anzi si sta ampiamente diffondendo la monetizzazione delle attività educative, spesso considerate dai concessionari (anche solo per le prenotazioni!) uno dei fattori di maggior reddito,  non tenendo conto che la gratuità delle stesse, a partire dalle scuole,  è uno dei motivi più rilevanti di accessibilità ai beni culturali e alla loro comprensione.
– Si va poi dalla necessità e dalla presenza di professionalità e competenze molto alte -anche se spesso sfruttate e sottopagate- alla mancanza di una preparazione adeguata e alla diffusione di una vera e propria improvvisazione. Per il Sistema informativo integrato 44.000 risultano gli operatori e 16.400 i volontari:  dentro questi numeri c’è di tutto.
– Molte e differenziate sono anche le modalità operative che si stanno affermando: reti cittadine e territoriali;  progetti interistituzionali; centri “globali” museo-territorio-ambiente; osservatori sul paesaggio[21] ecc. ecc.
In questo contesto si inseriscono come elementi di grande novità e di stimolo per le politiche nazionali anche alcuni documenti europei che impegnano gli Stati membri a porre il patrimonio culturale al centro della formazione del cittadino lungo tutto l’arco della vita e a considerare il diritto al patrimonio come diritto alla cittadinanza, nel quadro di uno sviluppo sostenibile della società.
Già nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 18 dic. 2006[22], infatti,  l’educazione al patrimonio viene inclusa tra le competenze chiave per l’apprendimento permanente di tutti i cittadini, sottolineando l’importanza della «consapevolezza del retaggio locale, nazionale ed europeo e della sua collocazione nel mondo ai fini dell’integrazione sociale».
Ma soprattutto è nell’importante Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, siglata a Faro il 27 ottobre 2005, entrata in vigore dal giugno  2011 e sottoscritta finalmente dal  governo italiano  il 27 febbraio 2013[23], che  l’accesso al patrimonio e ai suoi significati ottiene il riconoscimento formale di un diritto fondamentale per la partecipazione alla vita democratica così come è definito nella Dichiarazione universale dei diritti umani.
La Convenzione,  affermando il diritto di ogni persona di accedere al patrimonio culturale di sua scelta, nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui,  pone cittadino e comunità al centro del «processo di identificazione, studio, interpretazione, protezione, conservazione e presentazione dell’eredità culturale» (Art. 12 a.). Ma i dati dell’Eurobarometro[24] sono da questo punto di vista un po’ preoccupanti: solo il 30% degli italiani ha visitato nel 2013 un museo o una galleria: purtroppo sono 7 punti in meno rispetto al  2007; un po’ di più,  il 41 %,  ha visitato un sito o un monumento, ma si tratta di ben 11 punti in meno rispetto al 2007!
Sono dati che ci fanno riflettere perché è difficile senza una diretta conoscenza esercitare il diritto al patrimonio in quanto diritto di cittadinanza e sostenere le ragioni di una tutela condivisa dai cittadini in quanto assunzione di responsabilità verso il destino dell’eredità culturale e soprattutto  partecipare ai processi stessi di patrimonializzazione, poiché il patrimonio esiste per una comunità, e prima ancora per un individuo, soltanto se essi sono in grado di conoscerlo e riconoscerlo in quanto tale, grazie anche ad  un livello e a una qualità di sensibilizzazione ed educazione adeguate.
Di qui il diritto di cittadinanza disatteso: di fronte ad una deriva, spesso economicistica, di utilizzazione e promozione dei beni culturali, occorrono modelli culturali e organizzativi consapevoli del loro grande potenziale conoscitivo ed educativo, ma soprattutto occorre la volontà politica di realizzarli in un paese come l’Italia, che dovrebbe avere la leadership europea in questo campo.
E, ancora una volta,  a chiusura dell’intervento, ci aiutano le parole illuminati di Chiarante:
«Il senso profondo del valore della cultura e del patrimonio culturale […] sta nell’essere un elemento essenziale dell’identità di un popolo, nel costituire un fondamento da cui non si può prescindere per un avanzato sviluppo umano e civile, un fattore qualificante per una personalità libera e matura. Decisivo è perciò riaffermare, contro questa perversione economicistica, che il fine fondamentale delle politiche culturali deve essere nella valorizzazione della risposta che la cultura dà ai più alti e ricchi bisogni dell’uomo: e quindi nell’avanzamento della ricerca e della conoscenza, nell’ampliamento della sfera delle libertà, nella fruizione da parte di un numero crescente di donne e di uomini di quanto di meglio la storia umana ha prodotto»[25].
 
 
 
 
[1] D’iniziativa dei senatori Chiarante e altri (AC 1904), è il terzo comma dell’art. 1 sulle Finalità. Titolo I: Norme generali. Tale finalità è già presente nel DDL 348, del 24 novembre 1983 su Nuove norme per la conservazione e la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e per la riforma dell’organizzazione della tutela d’iniziativa dei senatori Argan, Chiarante ed altri.
[2] Cfr. L. Branchesi (a cura di), Il patrimonio culturale e la sua pedagogia per l’Europa, Armando editore, Roma 2006. Pubblicato anche in inglese: Heritage Education for Europe, Roma 2007. Un prima  sintesi del rapporto di ricerca è stata presentata e discussa dai rappresentanti dei 46 Stati membri del Consiglio d’Europa in occasione della riunione dello Steering Committee for Cultural Heritage a Strasburgo (ottobre 2004).
[3] Progetto promosso dall’ICCROM e dal Consiglio d’Europa nel 1995, anno europeo dell’archeologia.
[4] Cfr. Raccomandazione IX su Educazione e sensibilizzazione dei cittadini al rispetto dei Beni Culturali. Come è noto, la  Commissione Franceschini opera dal 1964 al 1967. Tutti gli Atti e i Documenti sono pubblicati in 3 voll.: Per la salvezza dei beni culturali in Italia,  Casa ed. Colombo, Roma 1967.
[5] DDL 1973 d’iniziativa dei senatori Chiarante, Nespolo, Valenza, Argan, Berlinguer, Canetti, Mascagni e Puppi comunicato alla Presidenza il 3 Ottobre 1986: Norme per l’innalzamento dell’obbligo scolastico e per il riordino dell’istruzione secondaria superiore.
[6] Il Testo unificato (A.C. 1275) fu approvato il 28 settembre 1978 dalla Camera con i voti del PCI, ma non ebbe seguito per la caduta del Governo. L’iter della riforma della scuola secondaria superiore era di fatto iniziato nel 1970 con  i “Dieci punti di Frascati”, varati in un convegno internazionale organizzato a Villa Falconieri.
[7] G. Chiarante, G. Napolitano, La democrazia nella scuola.  La posizione dei comunisti sui nuovi organi di governo negli istituti e nei distretti scolastici, Editori riuniti, Roma 1974.
[8] G. Chiarante (a cura di), La scuola della riforma. Asse culturale e nuovi orientamenti della secondaria, De Donato, Bari 1978.
[9] Intervento di G.C. Argan al Senato il 6 marzo 1985 sui Disegni di legge concernenti il nuovo ordinamento della scuola secondaria superiore,  Cfr. Senato della Repubblica, IX legislatura, Resoconto stenografico, 264° seduta pubblica pomeridiana, 6 marzo 1985 p.40.
[10] Ivi.
[11] Cfr. «Si tratta di porre in primo piano l’obiettivo di una scuola ‘di cultura e per la cultura’: che dia a donne e uomini la capacità di fruire e soprattutto di godere dell’infinita ricchezza dell’ambiente naturale in cui viviamo e dei molteplici e inesauribili aspetti della vita e dell’attività culturale», G. Chiarante, Alle radici del paradosso scolastico, Nota per il convegno nazionale di studi “Una scuola per la cittadinanza”, Firenze 23-25 febbraio 2001 per iniziativa dell’Associazione per il Rinnovamento della sinistra, pubblicata in G. Chiarante, Sulla patrimonio S.P.A e altri scritti sulle politiche culturali, Annali dell’Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli, n.15, Graffiti ed., Roma 2003, p. 89.
[12] Cfr. ad es. Legge 8 novembre 2013, n. 128, art. 5: Misure  urgenti  in  materia  di istruzione, università  e ricerca; anche il nuovo governo sembra mostrare maggior sensibilità su questi punti, sebbene molte delle dichiarazioni fin qui fatte sembrano per lo più restare a livello di intenti.
[13] L. Branchesi, La Raccomandazione N°R (98)5 sulla pedagogia del patrimonio: uno studio di caso, in  L. Branchesi (a cura di) 2006, op. cit., pp. 175-184.
[14] La Commissione, istituita dal ministro Antonio Paolucci (DM 16 marzo 1996), è stata confermata dal ministro Walter Veltroni (DM 3 gennaio 1997)  e si è riunita regolarmente fino al dicembre 1998.
[15] Cfr. Verso un sistema italiano dei Servizi educativi per il museo e il territorio. Materiali di lavoro della Commissione ministeriale, a cura di Adele Maresca Compagna, Introduzione di M. Dalai Emiliani, MIBAC, Roma 1999.
[16] Si fa riferimento all’Accordo quadro; anche se,  purtroppo, diventa dopo pochi anni di difficile attuazione perché gli istituti scolastici, privati dei mezzi per gestire al meglio la propria autonomia, hanno difficoltà a programmare proprio quei progetti educativi sul patrimonio,  in accordo con le istituzioni culturali del territorio, previsti dall’art. 119.; cfr. anche l’importante art. 118: Promozione di attività di studio e ricerca.
[17] Il Servizio II, Comunicazione e promozione del patrimonio culturale«supporta il Direttore Generale nelle attività relative al coordinamento del sistema dei servizi educativi, di comunicazione, di divulgazione e promozione ai sensi degli articoli 118 e 119 del Codice attraverso il Centro per i servizi educativi, anche in relazione al pubblico con disabilità».
[18]  Cfr. http://imuseiitaliani.beniculturali.it/  Il sistema nasce da un’ intesa tra ISTAT, MiBACT,  Regioni e province autonome. I dati pubblicati  sono riferiti al 2011.
[19] Cfr., ad. es., alcuni esempi internazionali a partire dal ruolo del responsabile dell’educazione nella sistemazione delle British Galeries al V&A Museum , già nel 2001.
[20] G. Chiarante, Il ministro delle “anime morte”, in G.Chiarante,op.cit., 2003, p. 30.
[21] Cfr., ad es., B. Castiglioni, M. Varotto, Paesaggio e Osservatori locali. L’esperienza del Canale di Brenta, Franco Angeli, Milano 2013.
[22] Cfr. Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente (2006/962/CE); cfr. in particolare l’VIII competenza: “Consapevolezza ed espressione culturale”.
[23] Cfr. Framework Convention on the Value of Cultural Heritage for Society, Faro 27.10.2005; Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società, traduz. it. a cura del Ministero per i beni e le attività culturali. Segretariato generale, 2013
[24] Special Eurobarometer 399: Cultural Access and Participation. Report, Fieldwork: April – May 2013; Publication: November 2013 Conducted by TNS Opinion & Social at the request of the European Commission, Directorate-General for Education and Culture
[25] G. Chiarante, Introduzione in G. Chiarante, op. cit, 2003, pp. 5-6.

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